Non tutti sanno che a Monterubbiano esiste una antica tradizione carnevalesca che, fino a non molti anni or sono, radunava tutti i paesani del centro storico e della campagna e richiamava fin’anche centinaia di visitatori. Tale usanza si è purtroppo interrotta negli anni Ottanta e da quel momento in poi non è stata più ripresa.
I Monterubbianesi che hanno avuto la fortuna di assistere in passato all’evento carnascialesco, ancora oggi ne ricordano con grande orgoglio nostalgico la simpatia, l’ironia e la spensieratezza che lo connotavano.
Il nostro Carnevale prevedeva un particolare rituale, il cosiddetto “’mmazza Carnovà”, che merita di essere analizzato, studiato e compreso a fondo. Cerchiamo quindi di dedicargli la giusta attenzione.
Prima di tutto, per comprendere appieno il rituale monterubbianese e fare delle analogie, è bene sapere che il Carnevale deriva in gran parte dalle feste romane dei Saturnali, che si celebravano tra il 17 e il 23 dicembre, e che erano caratterizzate da un’atmosfera orgiastica e festosa, da eccessi alimentari e sessuali, da mascherate e dall’usanza di invertire i ruoli sociali (gli schiavi divenivano padroni e viceversa). I Saturnali romani rievocavano la mitica Età dell’Oro, durante la quale regnava il dio Saturno e gli uomini vivevano pacificamente e in una situazione di abbondanza alimentare. Non è un caso che Saturno venisse venerato in concomitanza al Solstizio d’Inverno, in quanto considerato il dio rifondatore del cosmo, come il Sole che in quella data torna a risalire nel cielo e ad allungare le giornate, dopo il buio dell’inverno.
Ma arriviamo al dunque: il primo giorno delle feste dei Saturnali veniva nominato un Rex Saturnaliorum, una sorta di sostituto del dio Saturno che aveva il compito di regnare sulla baldoria e sul caos di quei giorni, su quella specie di Età dell’Oro, ristabilita temporaneamente, per poi essere simbolicamente ucciso al termine dei festeggiamenti.
Ed eccoci spiegato il rito del Carnevale monterubbianese, che prevedeva anch’esso la simbolica uccisione di un uomo, chiamato Carnevale, tramite una rappresentazione rituale: ogni anno si svolgeva la cosiddetta “operaziò”, durante la quale una figura travestita da medico, accompagnato da tutta la sua équipe di infermieri, fingeva di dover operare un paziente, “Carnevale” appunto. Tale operazione, non destinata ad andare a buon fine, veniva accompagnata dalle parole del finto medico: “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”. Questi veniva quindi collocato in una bara e fatto sfilare per tutto il paese: il signor “Carnevale” era morto, e con ciò terminavano tutte le sfrenatezze e gli stravizi tipici delle feste carnevalesche.
Il paziente Carnevale viene portato dai finti medici sotto la loggia del PalazzoComunale, dove verrà operato (foto di Ernesto Fabi)
Nelle foto seguenti, alcuni momenti dell'"operaziò", durante la quale il medico e gli infermieri gettano tra la folla interiora e parti di animali. Dopo aver constatato la morte di "Carnovà", quest'ultimo viene posto nella bara. Il tutto accompagnato da un brillante umorismo. (foto di Ernesto Fabi).
E’ dunque impossibile non notare le tante somiglianze del nostro rito con quello romano: il nostro signor “Carnevale” è un’eco del Rex Saturnaliorum romano, che a sua volta rappresentava l’incarnazione del dio Saturno. La morte del Rex Saturnaliorum o la morte del monterubbianese “Carnevale” simboleggiano anche la fine dell’Inverno e l’inizio della stagione primaverile. Anche l’usanza di far sfilare la bara per le vie del paese potrebbe alludere al periodo di passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, tra una fase di crisi e di incertezza e una di rinascita.
Di certo non vanno non considerate anche altre analogie con i Saturnali, prima tra tutte l’abbondanza alimentare tipica di quel periodo. Difatti, dopo il 17 gennaio, il giorno di Sant’Antonio, fino al martedì grasso, la frittura regna sovrana nella cucina monterubbianese: da “ li frittillitti” a “le sfrappe” fino a “la cicerchiata” e a “le castagnole”. Sono questi dei dolci molto semplici, ma allo stesso tempo gustosi e calorici appunto per il modo in cui vengono cotti, ma anche perché la maggior parte di essi prevede l’aggiunta abbondante di miele, di zucchero e di “archemunze” (Alchermes). Ma il Carnevale monterubbianese prevedeva, ed è così ancora oggi, anche l’usanza del consumo collettivo di polenta, anticamente stesa, in piazza, su lunga tavola di legno -“la spianatora”- e mangiata con la forchetta che ognuno portava con sé da casa.
La pratica di “abbuffarsi” insieme, che può essere definita come vera e propria “orgia alimentare”, era anch’essa caratteristica dei Saturnali, benché non con la polenta (che arriva nella nostra regione qualche secolo dopo la scoperta dell’America), e serviva non solo a rimarcare l’unione della collettività, ma anche a ripristinare una simbolica Età dell’Oro, un momento di evasione dalla dura realtà, fatta di privazioni e sacrifici. Si trattava principalmente di un rituale propiziatorio: preparare cibo in grandi quantità equivaleva a donare, o meglio “sacrificare”, quanto era stato raccolto in onore di una ipotetica Potenza Sovrannaturale, la quale avrebbe contraccambiato con un futuro raccolto altrettanto abbondante.
Ecco quali sono i significati nascosti dietro al nostro Carnevale, quasi unico nel suo genere e ricco di antichissime memorie che fino ad oggi non sono mai state giustamente approfondite.
Quest’anno finalmente, oltre alla polenta, anche se non sulla “spianatora”, al fantastico originale gruppo musicale degli Elegantoni, al restaurato “Callà” di piazza e alla bellissima esibizione degli Sbandieratori e dei Tamburini dell'Armata di Pentecoste, siamo riusciti, grazie alla collaborazione tra Comune, Pro Loco e Cittadini, a rivivere il Carnevale di una volta.
Di seguito le foto del gruppo musicale degli "Elegantoni", formato dai componenti della Banda Musicale C. Cusopoli di Monterubbiano, che, secondo tradizione, suonano per le vie del paese indossando un'elegante giacca abbinata a dei simpatici "mutandoni". (foto di Ernesto Fabi)